Guido Sartorelli Arte e città
Arte e città. Opere di Guido Sartorelli al Centro Candiani
Si potrebbe parlare di una svolta nella produzione di Guido Sartorelli, databile intorno al fatidico anno ’68 - di cui ricorre un relativamente rimosso, almeno qui a Venezia, cinquantenario. I quadri, le tele dipinte, vengono messi d’un canto, pur avendo l’artista già esposto quel genere di opere. La svolta è dovuta ad un evidente mutamento generale del clima culturale quanto ad un approccio personale radicalmente diverso al fare arte. La poetica, fino a quel momento stilisticamente ascrivibile ad un certo espressionismo venato da componenti surrealiste, viene abbandonata del tutto per un altro tipo di approccio, molto più distaccato e oggettivo. Come se si trattasse non più di dipingere quanto di rifare i conti con la tradizione della pittura e con le forme della rappresentazione, per poter, eventualmente, ripartire. La decostruzione del passato al fine di mettere a nudo lo situazione dell’arte in un periodo di grandi rivolgimenti viene vista come un necessario compito preliminare, un riordinare le carte, fotografando, in questo caso metaforicamente, lo stato di fatto. L’arte, secondo Sartorelli, è stata un efficace strumento di rappresentazione della realtà del proprio tempo, grazie in particolare al dispositivo prospettico rinascimentale, generando però una raffinata finzione, uno spazio illusorio, se non altro perché contraddiceva la natura bidimensionale del supporto (la tela, il quadro). La revisione critico-visiva delle strutture formali della gabbia spaziale permette a Sartorelli di produrre alcuni fra i suoi lavori forse meno conosciuti e fra i più sorprendenti, analizzando celebri episodi della storia dell’arte (il passaggio verso il Rinascimento, con riferimenti a Simone Martini, Piero, Raffaello), e considerando ciò che le avanguardie novecentesche avevano già elaborato in termini di superamento di quel grande passato: Mondrian, Picasso, ma anche Cézanne. Una sorta di linea analitica dell’arte per ritrovare al di là della tela, e dello ‘specchio’, una propria personale modalità di osservare lo spazio del vissuto collettivo. Lo sguardo dell’artista veneziano si rivolge non più alla storia dell’arte e alle modalità della rappresentazione, ma al contesto urbano. La città diventa il soggetto privilegiato del suo lavoro dalla seconda metà degli anni ’70, e lo strumento per descriverla è un altro dispositivo, aggiornato tecnologicamente, la macchina fotografica. Non utilizzata in questa fase direttamente da Sartorelli il quale si affida piuttosto alla professionalità di Mark E.Smith. Per la mostra Il segno urbano (1977), seguendo le indicazioni dell’artista, sarà il fotografo a realizzare fra l’agosto del 1976 e il febbraio del 1977, “tutte le fotografie riferite al centro storico di Venezia”. Il distacco cui si accennava si traduce nel ritagliarsi Sartorelli più un compito di regista, in grado di individuare e selezionare i luoghi emblematici da ritrarre (fotograficamente), evidenziando, anche nelle modalità di esposizione dei materiali, un intento ordinatore, archivistico, quasi a costituire un atlante in divenire dedicato allo spazio urbano. Spazio non più della rappresentazione artistica, piuttosto quello vivente che si manifesta nelle piazze, lungo le strade, sugli edifici. Un approccio fenomenologico che non ‘giudica’, ma elenca, sistematizza, individuando le differenze fra luogo e luogo date dalla superfetazione fra segni casuali (graffiti, scritte), arredo funzionale (cabine telefoniche, cestini dei rifiuti, fermate dell’autobus, pontili ) e l’invasiva presenza della pubblicità. Venezia diventa il luogo privilegiato di questa nuova modalità di esplorazione, per coglierne la natura contemporanea, e non solo la straordinaria storia passata. L’esplorazione di Sartorelli tocca comunque anche molte altre realtà urbane: l’atlante da locale e cittadino aspira a diventare quantomeno europeo, grazie anche alla feconda e intensa collaborazione con Cristiana Moldi-Ravenna, collaborazione che li ha visti realizzare insieme una serie di esposizioni di notevole interesse fra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta, da Roma-Ginevra- Corrispondenze tra cultura religiosa e segno urbano (1979) a Semiopolis- Venezia come luogo dei segni (1984).
Con lo scopo di avviare una prima fase di studio e approfondimento sul lavoro complesso quanto coerente dell’artista scomparso nel 2016, lo scorso 22 febbraio è stato organizzato un incontro pubblico a più voci alla Bevilacqua La Masa. Gli atti di quell’incontro saranno pubblicati dalla casa editrice Supernova, congiuntamente al catalogo delle opere selezionate per la personale che si aprirà il 18 maggio al Centro Candiani. La mostra Arte e città è basata sulla selezione di un gruppo di opere tutte presenti nello studio dell’artista al momento della sua scomparsa. Una sorta di nucleo che Sartorelli ha tenuto con sé negli anni, mentre altri lavori sono andati dispersi o sono inclusi in diverse collezioni pubbliche e private. Il periodo temporale proposto va dalla fine degli anni ’60 ai primi anni ’80, con l’intento di mettere a fuoco i passaggi formalmente quanto concettualmente salienti di una ricerca che va riscoperta e riconsiderata.
Riccardo Caldura